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Parassitologia

Pulci


Poche pulci possono diventare rapidamente una imponente infestazione, spiacevole e costosa. Il miglior modo per combattere un'infestazione da pulci è evitare che questa si presenti. Di seguito trovate alcuni consigli pratici:
• Se state usando un prodotto che previene la formazione di pulci adulte, continuate la prevenzione per circa un anno. Le condizioni del tempo sono imprevedibili e la stagione delle pulci può incominciare prima che voi siate pronti. In condizioni favorevoli, le pulci possono sopravvivere e riprodursi in casa durante l'inverno. Non concedete alle pulci nessun intervall utilizzate un prodotto che ne prevenga lo sviluppo ogni mese.
• Tutti gli animali che vivono in casa dovrebbero essere trattati contro le pulci. Le pulci possono riprodursi e svilupparsi facilmente su un animale non trattato, vanificando tutti i vostri sforzi.
• State attenti ai pesticidi. Se sceglieste di usare uno spray o spot-on a base di pesticidi, leggete attentamente l'etichetta e l'indicazione d'uso, specialmente se avete dei bambini piccoli. Attenetevi strettamente alle raccomandazioni per minimizzare i rischi a cui sottoponete il vostro animale, la vostra famiglia e l'ambiente in cui vivete.
 

Il momento migliore per usare un prodotto che controlli lo sviluppo delle pulci è prima di vederne la comparsa: ricordate che la prevenzione è la migliore cura. E' più facile prevenire lo sviluppo dell'infestazione da pulci, piuttosto che eliminarla nel momento in cui si è già verificata.

Il ciclo vitale di una pulce
Quando una pulce adulta raggiunge il suo ospite comincia a nutrirsi di sangue ed entro 24 ore depone le uova. La deposizione avviene soprattutto nelle ore notturne, mentre il nostro animale riposa. Le uova, che non si attaccano al mantello, cominciano a cadere nell'ambiente, specialmente dove il cane o il gatto soggiornano più a lungo. In relazione alla temperatura e umidità dell'ambiente, nel giro di tre settimane si completa il ciclo di formazione: da uova a larve, quindi pupe e infine pulci adulte. Nell'ambiente infestato il 95% della popolazione delle pulci è costituito da pupe, larve e uova, ossia forme di sviluppo del parassita non visibili a occhio nudo. Le pulci adulte rappresentano solo il 5% della popolazione e, contrariamente a quanto si pensi, difficilmente saltano da un animale all'altr non si allontanano mai volontariamente dall'ospite faticosamente conquistato.
La vita di una pulce
Le pulci sono "macchine da riproduzione" straordinarie: ogni femmina può deporre fino a 50 uova aliorno,per un totale di 2.000 in tutta la sua vita. La principale causa di morte per le pulci adulte è rappresentata dall'attività di pulizia dell'ospite stesso. I pasti giornalieri di una pulce sono costituiti da una quantità di sangue pari a 15 volte il loro peso. Anche il partner è altrettanto speciale: l'organo sessuale maschile, infatti, è lungo circa un terzo della lunghezza totale della pulce e l'atto sessuale può durare fino a 9 ore.

Trombicula Autumnalis

 

Le trombicula autumnalis sono dei piccoli insetti rossi simili a granelli di sabbia e si trovano, come indica il nome, durante l’autunno. Quando attaccano un cane si stabiliscano generalmente intorno al naso, sulla parte anteriore delle zampe, particolarmente alla piegatura del ginocchio, davanti ai garretti e sullo stomaco. Si possono sterminare con facilità usando lo stesso trattamento utilizzato per sterminare le pulci, oppure con una comune polvere insetticida, facendo sempre attenzione a non farla ingerire al cane. C’è anche un altro parassita, quanto mai fastidioso, che si trova specialmente nelle colline e nelle brughiere durante la stagione molto calda. Si arrampica sui piedi del cane e si scava una tana nel tessuto epidermico in mezzo ai cuscinetti del piede; questo parassita provoca un prurito talmente insopportabile che il cane si morde le zampe e talvolta si rosicchia la pelle nel tentativo di alleviare la sua irritazione. Ancora una volta è sufficiente applicare soltanto una pomata apposita fra i cuscinetti dei piedi e presto il cane sarà sollevato da questo tormento. Per informarsi sul giusto medicinale da applicare conviene sempre rivolgersi al vostro medico veterinario di fiducia.
 

Pidocchi

 

Questi particolari insetti sono un po’ più piccoli delle pulci canine e ve ne sono di due specie: ambedue sono di colore giallo-grigiastro, ma un tipo si nutre di sangue e di siero e diventa blu dopo aver succhiato il sangue. Si trovano sulla pelle, nella quale inseriscono la loro piccola proboscide, e perciò sembra che si tengano ritti sulla testa. Il pidocchio del cane si può trovare soltanto su cani e gatti e non vive a lungo su altri animali; allo stesso modo, i pidocchi di altri animali non potranno sopravvive su cani o gatti. Al contrario delle pulci, i pidocchi non solo si nutrono del sangue del cane, ma si riproducono sopra di lui. La propagazione di una infestazione di pidocchi da un cane all’altro è molto più lenta che una migrazione di pulci, e può verificarsi solo attraverso contatti molto avvicinati, come la coabitazione nel canile o nella cuccia. Al tempo in cui si usavano le applicazioni di zolfo per distruggere i parassiti, le uova deposte a grappoli tra i peli del cane erano estremamente resistenti e l’unico rimedio consisteva nella pratica, oltremodo noiosa, di ripetute strigliature. Dal momento che la polvere insetticida ha la proprietà di penetrare anche nei gusti coriacei delle uova, ancora una volta, in casi di infestazione leggera o individuale, un’unica strigliatura di solito è sufficiente. Qualora si tengano insieme parecchi animali, tutti dovranno essere strigliati, siano o non siano infestati da pidocchi. Dato che ogni pelo perduto dal cane può avere attaccati dei lendini (uova) è prudente, nello stesso tempo, disinfettare anche le cucce e il canile. Gli utensili per la strigliatura, le spazzole, i collari e i corsetti dovranno essere lavati tutti a fondo e poi disinfettati. Pulci e pidocchi tendono ad ibernarsi, cessando così di dare fastidio e di rivelare la loro presenza alle temperature invernali. Perciò, nel caso di cani tenuti all’aperto o in canili non riscaldati, gli insetti possono passare inosservati fino al primo tiepido giorno di primavera. Quando un canile è esente dalle infestazioni è consigliabile non solo isolare ogni nuovo venuto, ma è prudente cercare accuratamente nel suo manto per scoprirvi eventuali visitatori. La pulce del cane è un insetto che preferibilmente striscia, piuttosto che saltare, ed è molto abile nello sfuggire all’occhio di un osservatore. Quando non vi siano che poche pulci, e invisibili, nel manto di un cane, spesso riuscirete a scoprirle a causa di piccole macchie simili a cenere di una sigaretta, che sono gli escrementi di questi insetti. Fate scorrere u dito teso attraverso il dorso del cane dalla coda alla testa e, se non riuscite ad individuare nessuna pulce nascosta nel pelo, potrete spesso riconoscere queste macchiette di polvere grigia. Nel caso che si tratti di pidocchi guardate in particolare intorno e dietro le orecchie e intorno alla base della coda, dove possono vedersi dei gruppi di minuscole uova di colore bianco-sporco appiccicate al pelo. Dopo la schiusa delle uova, per il resto della loro vita, i pidocchi si nutrono del sangue dei loro ospiti. Perciò, oltre a perdere la tranquillità a causa della irritazione cutanea, un cane gravemente infestato da questi insetti perderà sia il pelo che la sua buona forma, a causa del prurito incessante e della continua perdita di sangue.

Zecche




Parassiti succhiatori di sangue esistenti in diverse specie. Si localizzano soprattutto sulla testa (fronte, orecchie, labbra, palpebre), sul collo e negli spazi interdigitali. Principalmente si trovano due tipi di zecche: il primo e rappresentato da parassiti che compaiono dai mesi primaverili a quelli estivi con maschi di colore rosso-marrone scuro, lunghi 2-3 millimetri con corpo piatto e 8 piccole zampe mentre le femmine sono più grandi (4-10 millimetri), grigiastre.
Il secondo tipo, mene frequente, con parassiti molto piccoli (1-2 millimetri al massimo), di colore violaceo.Ogni femmina può deporre da 3000 a 5000 uova che dopo l'incubazione si trasformano in larve che possono svilupparsi solo su un ospite intermedi dopo un pasto di sangue, che va di 3 ai 6 giorni, la larva cade e diventa una ninfa octopode. Un altro ospite intermedio è necessario perché si trasformi in adulto sessuato dove avverrà anche l'accoppiamento. Per staccare le zecche dal corpo dell'animale bisogna prima anestetizzarle con un batuffolo di cotone imbevuto di alcool per alcuni secondi, quindi con una pinzetta estrarla girandola in senso antiorario. Quando estratta è opportuno bruciarla subito, non schiacciarla per terra perché questo consentirebbe alla zecca di continuare il suo ciclo naturale.La profilassi sanitaria necessita di un'azione antiparassitaria sull'animale (spray, polveri, bagni antiparassitari, ecc.) e nei luoghi contaminati.La zecca trasmette diverse malattie tra le quali: la Babesiosi o Piroplasmosi, malattia del sangue dovuta alla "Babesia Canis", protozoo parassita dei globuli rossi che li distrugge per moltiplicarsi, causando anemie , in alcuni casi, porta alla morte. I sintomi della malattia sono caratterizzati anche da difficoltà nella coagulazione, insufficienza renale e turbe nervose, nonché grande spossatezza, febbre, urine scure, turbe visive. La Rogna
 
 

Il parassita della scabbia è la causa di una delle più comuni malattie della pelle che possa colpire un cane ed è una malattia contagiosa sia per gli altri animali che per l’uomo. È rimarchevole il fatto che, quando la scabbia attacca l’uomo, sembra che gli individui di tipo biondo ne restino più facilmente contagiati. Generalmente colpisce le mani e non si estende oltre i polsi; può causare un prurito insopportabile specialmente quando si è a aletto dove il calore stimola l’attività dei parassiti. Qualora si abbia la pessima abitudine di dividere il proprio letto con il cane, allora può estendersi su tutto il corpo. In questi casi è consigliabile consultare il medico. Gli abiti possono essere infettati, specialmente nella regione delle maniche e del colletto delle giacche; perciò anche gli abiti andranno trattati con della polvere antiparassitaria e non verranno indossati per un giorno, poi dovranno essere spazzolati a fondo e lavati, sia con acqua sia a secco. Gli inservienti di un canile colpiti da una eruzione di questo tipo, se non saranno adeguatamente curati, possono essere la causa di susseguenti infezioni per i cani del canile. L’insorgere della scabbia comune nei cani si manifesta con una grave irritazione; in questa fase c’è ben poco da vedere. Solitamente la malattia si manifesta prima di tutto intorno agli occhi, all’esterno dei padiglioni auricolari, sulle ginocchia, sui garretti, sull’addome, e poi si espande gradatamente su tutto il corpo del cane. Le zone interessate si coprono di piccole macchie simili alle punture delle pulci, poi il cane, grattandosi e mordendosi continuamente, si procura numerose piccole piaghe e croste. Se la scabbia viene curata in modo appropriato può scomparire completamente entro dieci giorni sebbene il pelo impieghi, poi, più tempo per ricrescere. Tuttavia se dopo un attacco di scabbia comune si fanno regolari applicazioni di “Coatacine”, il pelo ricrescerà più folto, più forte e più lungo di prima. Il parassita della scabbia si chiama “Sarcoptica”. Si possono vedere degli esemplari osservando al microscopio le scrostature prelevate dalla pelle di un cane affetto dalla scabbia.

Rogna otodettica

 


L'Otodectes cynotis è un acaro psoroptide, dalle tipiche zampe lunghe, che infesta i condotti auricolari dei carnivori domestici, e si muove liberamente nel loro interno. Questo acaro non è specie specifico, e può colpire cani, gatti e furetti. Tutto il ciclo dell’Otodectes si svolge sulla superficie cutanea e dura 3 settimane. Inizia con la deposizione delle uova, da cui escono le larve, che si trasformano in protoninfe, poi in deutoninfe ed infine in acari adulti. Tutti gli stadi di sviluppo sono parassitari e si cibano di detriti e fluidi tessutali superficiali dell'ospite. La deutoninfa femmina viene già attaccata dal maschio adulto prima dello sviluppo, per cui non è infrequente trovare alcuni acari in accoppiamento negli strisci di materiale auricolare.
L'infestazione da Otodectes avviene tramite contagio diretto da altri animali affetti, ed è molto frequente nei gattini e nei cuccioli. Questi parassiti passano molto facilmente da un orecchio all'altro, così che l'infestazione bilaterale è la norma. Gli Otodectes cibandosi causano irritazione epiteliale e sensibilizzano l'ospite ai suoi antigeni. Il risultato della colonizzazione è la produzione un essudato nerastro e prurito in grado variabile, probabilmente di origine allergica. Recentemente infatti è stato dimostrato che gatti infestati con Otodectes mostrarono reazioni positive (reazioni crociate) agli skin test eseguiti con acari della polvere di casa, vicini a loro filogeneticamente. Eliminare l’otoacariasi prima dell’esecuzione dei test intradermici è indispensabile per evitare risultati falsamente positivi. Queste reazioni in genere scompaiono con il trattamento dell'otoacariasi.
Più raramente l'Otodectes può colonizzare aree di cute al di fuori del condotto uditivo, quali la cute periauricolare o del dorso, causando una dermatite pruriginosa simile ad un'allergia alimentare o a una allergia alle pulci. La diagnosi di otoacariasi si ottiene esaminando al microscopio uno striscio di cerume (per le forme auricolari) o un raschiato cutaneo (per le forme ectopiche).

Rogna sarcoptica

 
 




L'agente eziologico della rogna sarcoptica del cane è il Sarcoptes scabiei var. canis, un acaro più piccolo (200-400 μm) e con le gambe più corte dell'Otoedres. Questi acari sono parassiti obbligati e compiono tutto il loro ciclo, della durata di circa 3 settimane, sull'ospite. La femmina gravida, dopo l'accoppiamento, scava dei tunnel nella cheratina dell'epidermide e vi depone le uova e le feci. Man mano che avanza si ciba di detriti cheratinici e fluidi tessutali che si producono a causa dell'irritazione. Gli acari Sarcoptes scabiei var. canis sono parassiti specifici del cane, anche se è stata riportata l'infestazione di volpi e molto raramente di gatti. Anche l'uomo può essere colpito, con sintomi quali prurito e papule, che però sono autolimitanti e scompaiono con il trattamento del cane affetto.
L'infestazione avviene per contatto diretto con altri cani (o volpi) affetti, e la malattia è molto contagiosa. E' molto raro che un cane, che vive a contatto con un altro animale affetto, non si contagi nell'arco di poche settimane. Si riconosce un periodo di incubazione iniziale di 1-7 giorni, e un incremento graduale dei sintomi (principalmente prurito) sino al 21° giorno, momento in cui la sintomatologia si manifesta pienamente. Questo fenomeno può fare pensare che il forte prurito osservato in questa parassitosi sia di natura allergica e non dovuto all'azione diretta degli acari sulla cute.
I primi segni sono rappresentati da papule eritematose in sede ventrale e sui gomiti, a volte si notano pustole, che all'esame citologico contengono granulociti eosinofili e neutrofili. Secondariamente si notano eritema e alopecia generalizzata da grattamento (specie sulle zone laterali degli arti, segno molto suggestivo di rogna), desquamazione e ipercheratosi dei bordi auricolari interni ed esterni e della faccia laterale dei gomiti, e croste color miele che ricoprono le papule. I cani affetti manifestano notevole iperestesia quando li si tocca, si grattano giorno e notte, (anche presso il veterinario) e mostrano spesso un riflesso oto-podalico positivo (suggestivo, ma non patognomonico di rogna).
La diagnosi viene confermata dal ritrovamento di acari, uova o feci nei raschiati. Questi vanno eseguiti superficialmente, ma su ampie aree cutanee (ad esempio su tutto il padiglione auricolare), in modo da raccogliere molte squame e detriti cheratinici. Gli acari in genere sono molto pochi e spesso i raschiati risultano negativi. La diagnosi può anche venire confermata dalla risposta alla terapia. L'esame istologico di una biopsia cutanea può essere suggestivo di ectoparassitosi, per la presenza di pustole eosinofiliche, e a volte diagnostico di rogna, quando vengono inclusi gli acari nella sezione. Recentemente è stato sviluppato un test sierologico per la ricerca con tecnica ELISA degli anticorpi IgG specifici per il Sarcoptes. Questo test è molto sensibile e utile nell'identificazione dell'infestazione nei casi lievi, o negli animali immunodepressi che non manifestano prurito, pur albergando i parassiti (rogna norvegese).
Trattamento e prevenzione
I cani affetti possono venire trattati con spugnature di amitraz (0.05%) ogni 5 giorni per 5 volte. Nei soggetti in cui non è possibile fare delle spugnature si può anche somministrare selamectina per via sistemica una volta al mese per 3 volte.
Il prurito può aumentare nella prima settimana di terapia, in cui vi è la morte contemporanea della maggior parte dei parassiti e il rilascio delle loro sostanze, per poi diminuire gradualmente nell'arco di 3-4 settimane. In genere non è necessario attuare anche un trattamento ambientale, poiché gli acari sopravvivono solo pochi giorni senza l’ospite.

 

Leishmania

 

La leishmaniosi canina è una patologia protozoaria causata da Leishmania infantum, trasmessa da ditteri ematofagi (flebotomi),



che coinvolge il sistema reticolo-endoteliale, in forma più frequentemente subacuto-cronica. La malattia è la conseguenza di una "lotta armata" tra il sistema immunitario dell’ospite e i meccanismi di evasione del parassita, che quasi sempre assicura la sopravvivenza del protozoo e la sua diffusione tra la popolazione degli ospiti (uomo, cane).
Il trattamento terapeutico della leishmaniosi è stato oggetto di numerosissimi studi; l’interesse degli studiosi per questa malattia, largamente diffusa tra la popolazione umana in quasi tutti i continenti (circa 12.000.000 di casi umani con 1.000.000 di persone nuove infette ogni anno), è amplificato dal fatto che il serbatoio più attivo nella diffusione della forma viscerale umana è il cane, animale la cui funzione sociale è senza dubbio di primaria importanza in molte parti del mondo. Nonostante il progredire degli studi epidemiologici, la reale incidenza della leishmaniosi canina non è a tutt’oggi conosciuta, anche se vi sono segnalazioni di focolai in alcune regioni italiane (compresa la Campania) spagnole e greche nei quali la prevalenza dell’infezione raggiunge il 30 – 40 %, con punte, in alcuni casi, del 70%. Il controllo della malattia nel cane, quindi, insieme alla lotta ai vettori, rappresenta il mezzo più valido per salvaguardare la salute umana, oltre naturalmente a preservare quella degli animali colpiti. Un profondo motivo di riflessione è dato dal fatto che, com’è ampiamente noto, le persone immunocompetenti che si ammalano, guariscono completamente in seguito a terapia specifica, a differenza di quanto accade nel cane nel quale le recidive sono un evento costante, indipendentemente dalla sostanza utilizzata. Il farmaco ideale dovrebbe avere un’azione leishmanicida e/o immunomodulatrice così da consentire l’eliminazione del parassita mediante l’aiuto del sistema immunitario dell’ospite. Dovrebbe inoltre essere caratterizzato da bassa tossicità, scevro da effetti collaterali, facile da somministrare e da reperire in commercio.
Il veterinario quindi, allo stato attuale, si trova a dover affrontare una zoonosi già di per sé molto complessa e ancora poco conosciuta, praticamente inguaribile, della quale non conosce nemmeno la reale incidenza e per la quale, per motivi di ordine etico, non sono proponibili le misure di polizia veterinaria attuabili in altre malattie degli animali trasmissibili all’uomo (stamping out).
Il notevole polimorfismo dei quadri clinici della malattia riflette le svariate combinazioni che possono realizzarsi in virtù della diversa virulenza dei ceppi di leishmania in causa e le condizioni immunitarie dell’animale, queste ultime probabilmente predeterminate da fattori genetici, del tutto sconosciuti in questa specie animale.
In base alle manifestazioni cliniche, i soggetti leishmaniotici, con buona approssimazione, vengono classificati in asintomatici (resistenti o in fase pre-clinica), oligosintomatici, sintomatici e marcatamente sintomatici. Fino ad alcuni anni orsono, la maggior parte dei veterinari era concorde nell’eseguire il trattamento terapeutico specifico esclusivamente nei soggetti che manifestavano segni clinici di malattia, compresi gli squilibri dei parametri di laboratorio, in particolare le alterazioni del quadro sieroproteico (iperproteinemia, alterato rapporto albumine/globuline), e le cui funzioni organiche, prima fra tutte quella renale, non fossero irrimediabilmente compromesse. In base alla sola classificazione clinica, infatti, gli animali asintomatici non sempre venivano sottoposti a chemioterapia, specialmente quando i loro titoli anticorpali erano molto bassi o al limite della positività. Esaminando più in dettaglio la situazione di questa particolare classe di animali, ci si può rendere conto di come il solo inquadramento clinico/sierologico non sia sufficiente a farci comprendere il loro stato immunitario nei confronti del parassita. Com’è noto, infatti, dal punto di vista immunitario, i cani leishmaniotici vengono distinti in due grossi gruppi (distinzione peraltro non sempre rispondente alla realtà, almeno in maniera così schematica): soggetti a risposta tipo Th1 e soggetti a risposta Th2. I primi, sono quelli che hanno una buona protezione cellulo-mediata e riescono a tenere sotto controllo l’infezione (titoli anticorpali molto bassi) e a non sviluppare malattia; i soggetti appartenenti al secondo gruppo, invece, sono caratterizzati da una risposta immune di tipo umorale, (titoli anticorpali alti) non protettiva, che quasi sempre esita in manifestazioni cliniche tipiche della patologia. Un animale asintomatico, quindi, potrebbe essere un soggetto geneticamente resistente ma anche un soggetto in fase molto precoce d’infezione e destinato a sviluppare la malattia. La risposta di tipo Th1, inoltre, non deve essere intesa come uno stato fisso ed immutabile: numerose situazioni, infatti, tra le quali vanno annoverate soprattutto le malattie intercorrenti tipiche delle zone endemiche (ehrlichiosi, epatozoonosi, babesiosi, filiariosi) possono determinare lo "switch" Th1/Th2 e quindi la comparsa della sintomatologia. Ancora oggi, purtroppo, i test che permettono di distinguere le due classi di animali (test intradermico con la leishmanina, test di stimolazione linfocitaria, determinazione delle varie citochine), non sono eseguibili routinariamente, soprattutto su larga scala, per cui, nel dubbio, le indicazioni più recenti consigliano di trattare tutti gli animali nei quali sia dimostrabile il parassita. Purtroppo, il rischio di questa semplificazione è quello di sottoporre a terapia anche gli animali "naturalmente resistenti", nei quali lo stesso trattamento potrebbe risultare in qualche maniera negativo, alterando l’equilibrio ospite/parassita. E’ utile insistere sul fatto che la chemioterapia antileishmania debba essere eseguita solo negli animali per i quali la diagnosi sia di certezza: in altri termini, i titoli anticorpali uguali o inferiori a 1:80 – 1:160 (IFAT), in assenza di dimostrazione del parassita, pur in presenza di segni clinici di malattia (nessuno dei quali patognomonico), non giustificano l’inizio della terapia. In questi casi, infatti, è utile ripetere il test sierologico 30-60 giorni dopo la prima diagnosi di sospetto.
Lo sviluppo di nuovi protocolli terapeutici per il trattamento della leishmaniosi canina è una delle sfide più affascinanti nel settore della ricerca veterinaria. Lo scopo della terapia antileishmania, vista l’impossibilità di eliminare il parassita, assume un duplice aspett da un lato diminuire la carica parassitaria degli animali e di conseguenza renderli serbatoi potenzialmente meno attivi, dall’altro favorire la risposta immunitaria cellulo-mediata. E’ stato osservato, infatti, che nella maggior parte degli animali ammalati, il trattamento terapeutico favorisce lo switch della risposta immunitaria dal tipo Th2 al tipo Th1; a conferma di ciò sono i risultati di un lavoro recentissimo, nel quale è stata dimostrata la necessità dell’interleuchina 4 (IL4), citochina tipica della risposta di tipo Th2, per l’efficacia della chemioterapia antileishmania. Come già accennato in precedenza, purtroppo, mancano dati certi e a lungo termine sugli effetti della chemioterapia sui cani asintomatici caratterizzati da un pattern citochinico di tipo Th1. E’ da tenere in conto, inoltre, che la maggior parte degli studi di tipo immunologico in corso di leishmaniosi viene condotta in topi (spesso geneticamente modificati) infettati sperimentalmente; è inevitabile, pertanto, che i dati ottenuti non siano sempre corrispondenti a quanto succede nei cani che contraggono l’infezione e la malattia in condizioni naturali. I protocolli terapeutici più frequentemente utilizzati in Italia sono quelli che prevedono l’impiego dell’antimoniato di N-metilglucamina (Glucantim) in combinazione con l’allopurinolo o con l’amminosidina, con dosaggi e tempi di somministrazione molto variabili.
I tre farmaci precedentemente citati spesso vengono utilizzati in monoterapia. Farmaci considerati "alternativi" sono l’amfotericina B (classica o liposomizzata), la pentamidina, il chetoconazolo e il metronidazolo; ancora in fase di sperimentazione sono la miltefosine, l’atovaquone e alcuni chemioantibiotici quali la spiramicina e i chinolonici. Vengono riportati di seguito alcuni esempi di schemi terapeutici desunti dalla letteratura:
Allopurinol
20-30 mg/kg BID, per os, per 1 mese in associazione con Glucantim (75 mg/kg BID, s.c.), poi per 12 mesi come terapia di mantenimento (Ferrer, 1997);
15 mg/kg BID, per os, per 1 mese in associazione con Glucantim (100 mg/kg/die, s.c.), poi per 8 mesi come terapia di mantenimento(Denerolle, 1999);
10 mg/kg/die, per os, per 2-24 mesi (Cavaliero, 1999).
Antimoniato di N-metilglucamina:
50 mg/kg, BID, s.c., per 1-2 mesi o fino a normalizzazione del quadro clinico (Oliva, 1998);
75-100 mg/kg, BID, s.c., per 2-3 mesi (Pennisi, 2000).
Amminosidina
5,25-10,5 mg/kg, SID o BID, s.c., per 3 settimane (Persechino, 1994; 1995)
10 mg/kg, SID, s.c., per 4 settimane (Poli, 1995)
10,5 mg/kg, SID, s.c., per 3 settimane, in associazione con Glucantim, 50 mg/kg, BID, s.c., per 1 mese (Oliva, 1998).
Amfotericina B desossicolato
0,5-0,8 mg/kg, e.v., ogni 2-3 gg, fino a una dose totale di 8-15 mg/kg. Sospendere quando la creatininemia superi i 2,5 mg/dl (Lamothe, 1997)
1-2 mg/kg, e.v., 1-2 volte alla settimana, fino ad una dose cumulativa di 8-12 mg/kg, di una soluzione ottenuta mescolando 50 mg di Amfotericina (diluita in 10 ml di acqua distillata sterile) + 30 ml di Intralipid 10% (Lamothe, 1999);
0,2-0,3 mg/kg (1a e 2a dose), poi 0,4 mg/kg (3a – 30 dose), SID, e.v., a gg alterni (Delgado, 2000, dati non pubblicati).
Amfotericina B microincapsulata nei liposomi (AmBisome)
3 mg/Kg, SID, e.v., per 5 gg consecutivi + una singola dose dopo 10 gg dall’inizio del trattamento (Oliva, 1995).
Pentamidina
4 mg/kg, SID, i.m., a gg alterni, per 1 mese (Lamothe, 1999).

Un punto fondamentale che bisognerebbe prendere in considerazione nella scelta terapeutica è la valutazione del potere infettante residuo dei soggetti trattati: nella maggior parte dei casi, i cani leishmaniotici trattati restano comunque un serbatoio attivo, spesso portatori di ceppi di leishmania chemioresistenti in virtù dei trattamenti indiscriminati.
Allo stato attuale, purtroppo, risulta impossibile verificare il potere infettante di tutti i cani trattati mediante l’uso di flebotomi (prova biologica), e l’eventuale presenza in essi di ceppi resistenti.
L’attenzione degli studiosi che si interessano dell’argomento è oggi rivolta verso due nuovi campi: l’immunoterapia e la profilassi vaccinale, senza naturalmente trascurare l’interessantissimo filone di ricerca volto alla messa a punto di sostanze utilizzabili nei confronti dei flebotomi. Gli immunomodulanti specifici sono delle sostanze (in genere proteine) prodotte dallo stesso agente eziologico che si vuole contrastare, sia esso una cellula tumorale o un microrganismo, e che hanno un evidente ruolo nello stimolare una risposta protettiva specifica in soggetti "responder". Nel campo della leishmaniosi sono stati già individuati e selezionati alcuni antigeni capaci di evocare in alcuni animali di laboratorio (si spera anche nel cane) una risposta immunitaria protettiva, o consentire la guarigione di quelli ammalati. Altre strade percorribili sono quelle che prevedono l’impiego di linfochine "positive" (interferone gamma, interleuchina 12), da utilizzare a scopo profilattico o terapeutico. Diversi esperimenti vaccinali sono in corso in varie parti del mondo, sia nell’uomo che nel cane, anche se, almeno per quanto riguarda la specie canina, pur in presenza di risultati parziali apparentemente positivi, non sono stati ancora messi a punto dei protocolli utilizzabili nella pratica professionale. E’ auspicabile che, nel prossimo futuro, la combinazione tra la terapia farmacologica dei soggetti ammalati, la profilassi vaccinale di quelli indenni e l’applicazione su larga scala di misure di lotta ai flebotomi vettori, porti ad un controllo sempre più efficace di questa temibile zoonosi.
Data la complessità della malattia ci pare opportuno rimandare per ulteriori e più approfondite conoscenze al sito ufficiale della Leishmania
 

Coccidiosi


La coccidiosi è una malattia parassitaria largamente diffusa, comune a tutti gli animali domestici, causata da protozoi e sporozoi specie specifici appartenenti a generi chiamati generalmente "coccidi".
I coccidi diffusi, patogeni per il cane son Isospora canis, Isospora bigemina, Eimeria canis.
L'infezione avviene per ingestione delle oocisti mature presenti nell'ambiente, elementi infettanti eliminati con le feci da un animale malato o portatore. A livello intestinale (intestino tenue, soprattutto ileo) le oocisti liberano gli sporozoiti che penetrano nelle cellule della mucosa intestinale dove si moltiplicano e subiscono trasformazioni fino a completare il ciclo con produzione di nuove oocisti immature; le oocisti immature vengono emesse con le feci e in condizioni ambientali favorevoli subiscono un processo di maturazione che le rende infettanti (in condizioni ottimali la maturazione avviene in 2-5 giorni).
Sintomi
La coccidiosi rappresenta una malattia grave nei cuccioli, infatti gli adulti hanno una resistenza sia naturale che acquisita per cui non subiscono gravi danni (o non ne subiscono affatto) da questo tipo di infezioni. In ogni caso anche se nell'adulto l'infezione da coccidi non rappresenta un pericolo è pur sempre un problema da non sottovalutare, soprattutto perché un adulto infettato può diventare portatore sano. C'è inoltre da tenere presente il fatto che spesso l'infezione da coccidi è seguita da sovrainfezioni batteriche o virali.
I sintomi principali sono dovuti all'azione traumatica che i coccidi esplicano a livello di mucosa intestinale: diarrea ricoperta di muco, non di rado emorragica, e talvolta vomito. A livello generale predominano anoressia o disoressia, abbattimento, disidratazione e anemia. Nei casi più gravi possono comparire fenomeni nervosi con crisi epilettiformi e paresi, congiuntiviti, scolo nasale, tosse, difficoltà respiratorie dovute a sovrainfezioni cimurrose.
Diagnosi
Viene effettuata tramite l'esame delle feci.
Terapia
Terapia con sulfamidici o sulfamidici combinati con altri farmaci, metronidazoloo clortetraciclina cloridrato a cui si associa una terapia collaterale con soluzioni nutritive, reidratanti, ecc.. Nei luoghi in cui sono presenti animali è importante attuare una profilassi per eliminare le oocisti presenti nell'ambiente (disinfettanti, vapore).
Si consiglia sempre e comunque di effettuare periodicamente una analisi delle feci del cane. Se l'animale dovesse risultare positivo all'analisi, si consiglia di farsi consigliare dal veterinario di fiducia.
 

Acari

 




Gli acari sono microscopici aracnidi, che sono sempre presenti sul pelo degli animali (come sulle coperte, sui materassi e ovunque possa posarsi la polvere): in particolari condizioni possono dare problemi più o meno seri.
Per esempio nell'orecchio possono dare forme parassitarie di otiti, curabili con prodotti appositi (quindi non le normali gocce per le orecchie, ma gocce appositamente formulate). L'otite da acaro dà un odore sgradevole, molto pungente e facilmente riconoscibile. Sarà comunque cura del vostro veterinario consigliarvi in merito.
Un'altra malattia portata dagli acari è la rogna demodettica, altrimenti detta "rogna rossa".
Al contrario di quanto faccia pensare il termine rogna, la demodettica non è assolutamente trasmissibile all'uomo o ad altri animali, perché di origine genetica e/o immunitaria.
Quando il cane ha cali immunitari per situazioni di stress emotivo, psicologico o fisico, oppure se ne è geneticamente predisposto, può essere più soggetto agli attacchi degli acari (che qualsiasi cane ha sul corpo): quindi inizia a perdere il pelo, spesso vicino alle parti più umide del corpo (occhi, naso, labbra e fra le dita). Alcuni veterinari sostengono che se non viene curato in tempo la situazione può degenerare fino a conclusione infausta, altri completamente al contrario sostengono che anche se non curata, tende a guarire spontaneamente.
La rogna rossa è abbastanza comune tra le razze molossoidi ed è difficile che colpisca un cane adult sono più soggetti i cuccioli.
Una forma di prevenzione consiste in bombolette spray acaricide facilmente reperibili in farmacia, da spruzzare nei luoghi frequentati dal cane. Può essere utile anche in caso di allergia agli acari negli umani.
 

Piroplasmi

 
Introduzione I protozoi del genere Babesia sono parassiti intracellulari (globuli rossi) degli animali domestici in grado di determinare anemia e emoglubinuria. Sono trasmesse da zecche in cui il protozoo passa da una generazione a quella successiva tramite trasmissione transovarica. Sono ospiti tutti gli animali domestici (anche uomo ma ospite non specifico), vettori sono zecche della famiglia Ixodidae in cui abbiamo trasmissione transovarica e transtadiale.Ciclo biologico
Il parassita ha aspetto tipicamente piriforme e si trova spesso accoppiato all’interno degli eritrociti. Si moltiplica per scissione binaria, la cellula ospite viene sequestrata nella milza e processata dai macrofagi permettendo la liberazione dei piroplasmi. Dopo un pasto effettuato da una zecca femmina, si ritiene che i piroplasmi abbiano una fase di sviluppo sessuale e migrano attivamente verso l’ovaio dell’artropode. Invadono le uova e continuano a riprodursi attivamente nella larva di zecca. Quando questa effettua il primo pasto essi migrano negli acini salivari dove divengono sporozoiti dotati di elevato potere infettante. Questi ultimi vengono inoculati nell’ospite verso la fine di un pasto di sangue.Patogenesi
L’infezione dell’ospite vertebrato è seguita da una fase silente di 7-14gg. Una volta che i globuli rossi sono stati sequestrati dalla milza, la patologia evolve differentemente a seconda che si tratti di soggetti suscettibili o resistenti. In quest’ultimo il protozoo viene distrutto o tenuto sotto controllo da una risposta cellulo-mediata mentre nei soggetti suscettibili il microrganismo infetta altri eritrociti dando luogo alla fase sintomatica della patologia caratterizzata dalla formazione di anticorpi contro gli antigeni protozoari espressi sulla superficie dei globuli rossi. La piroplasmosi da anemia da lisi eritrocitaria cioè anemia emolitica ed eritrofagocitosi extravascolare ed immunomediata (anche le emazie non parassitate) perché la rotture dei globuli rossi immette nel sangue degli antigeni che si fissano sulla membrana esterna di altri eritrociti che sono poi riconosciuti con non self.Sintomatologia
Abbiamo febbre, abbattimento, mucose pallide e itteriche, splenomegalia. Se non trattata è infausta; nei rari casi di guarigione la convalescenza è molto lunga. La malattia dipende da numerosi fattori: -virulenza della specie -età dell’ospite -stato immunitario dell’ospite -presenza del vettore -stress

Filaria


Parliamo di una malattia parassitaria largamente diffusa in Italia e nel mondo, sostenuta da un nematode (Dirofilaria Immitis), vale a dire un verme a sezione tonda molto lungo (le femmine adulte misurano anche 30 cm mentre i maschi adulti raggiungono 20 cm.)
Il parassita colpisce con maggior frequenza il cane, meno di frequente il gatto ( il gatto è relativamente resistente all’infestazione tuttavia i casi sono in aumento nelle aree endemiche) e solo occasionalmente l’uomo (in bibliografia è riportato un caso di malattia evolutiva in un individuo affetto da HIV). Tra i cani quelli che vivono all’esterno presentano un rischio 5 volte maggiore rispetto a quelli da appartamento. Le forme adulte del parassita vivono nel ventricolo destro, nelle arterie polmonari e nella vena cava caudale. Tali parassiti adulti, maschi e femmine, generano delle larve microscopiche che viaggiano libere nel torrente circolatorio. Per garantire la trasmissione della malattia da un cane infestato ad uno sano occorre l’intervento di un vettore biologico che in questo caso è la zanzara. Essa si nutre del sangue dell’animale infestato e con esso ingerisce le larve di primo stadio (non in grado di determinare malattia per es. a seguito di trasfusioni, o per passaggio transplacentare da madre a feto). Nell’apparato buccale della zanzara le larve subiscono in circa due settimane due mute diventando così L3 (larve di terzo stadio) in grado di determinare malattia se veicolate dall’insetto ad un cane sano. Una volta inoculate tali larve migrano nel tessuto sottocutaneo dell’animale dove permangono per qualche tempo subendo altre due mute e tramutandosi in forme giovanili di Dirofilaria Immitis che poi migreranno verso il cuore dove troveranno la loro sede definitiva. Occorrono dai cinque ai sei mesi prima che l’infestazione si evidenzi e si possa diagnosticare, e che compaiano microfilarie in circolo in grado di perpetuare il ciclo del parassita.La gravità della parassitosi è strettamente correlata al numero dei parassiti presenti (da 1 esemplare a più di 250 per cane, circa 3 in media per il gatto) ed alla durata dell’infestazione; se presenti in ridotta quantità (<50) si localizzano solo nelle arterie polmonari mentre, se presenti in gran numero (>75), sono costretti a spingersi verso l’atrio destro e vena cava caudale (>100). Il primo danno, come si può presagire, è di tipo meccanico a carico dei tessuti vascolari ed endocardico. Le "matasse" di parassiti possono occludere vasi sia direttamente che indirettamente vista la proliferazione reattiva da essi indotta a carico dell’endotelio vascolare. Aumentano le resistenze nel circolo perché i vasi colpiti si presentano ristretti, il polmone risulta meno irrorato e si ha ipertensione polmonare; inoltre il cuore deve sottostare ad uno sforzo maggiore per contrastare le aumentate resistenze di circolo. Il danno all’arteria polmonare si ripercuote direttamente sul polmone determinando una polmonite interstiziale ed alveolare cronica. I danni al polmone derivanti da occlusioni vascolari si rendono evidenti in presenza di parassiti morti.
Sintomi
Esistono forme asintomatiche e paucisintomatiche (tachipnea, intolleranza allo sforzo, tosse).
Sintomi polmonari: affaticamento precoce, tosse, dispnea (difficoltà respiratoria) sia nelle forme avanzate che in quelle di grado moderato, nelle forme gravi si possono avere fenomeni di emottisi (espettorazione di sangue) associati a tromboembolismi spesso causati dalla morte dei parassiti indotta dalla terapia. Nel gatto la tosse è frequente nelle forme croniche esistono poi forme di grave difficoltà respiratoria sempre frequenti in questa specie.
Sincope: perdita temporanea di coscienza dovuta ad un calo dell’ossigenazione cerebrale.Ipertensione venosa.Emoglobinuria ( presenza del pigmento ematico nelle urine).
Sindrome nefrosica ( degenerazione del rene).
Vomito intermittente: questo sintomo è molto frequente nell’infestazione del gatto.
Diagnosi
Il sospetto che l’animale sia ammalato deve sempre avere qualora esistano le condizioni ambientali perché la malattia si sviluppi (aree endemiche, clima temperato, presenza del vettore, vita all’aperto, mancata profilassi) o quando siano presenti i sintomi surriportati.La diagnosi definitiva di malattia viene effettuata tramite test sierologici che ricercano nel sangue dell’animale, la presenza di sostanze prodotte dagli adulti di Dirofilaria immitis. Tali test hanno completamente soppiantato la ricerca microscopica delle larve in uno striscio di sangue, perché poco attendibile.Test sierologici sono disponibili anche per il gatto.E’ di grande ausilio in caso di positività, valutare la gravità della patologia, mediante radiografie toraciche, ecocardiografie, ed elettrocardiogrammi. In base ai risultati di queste indagini viene deciso lo schema terapeutico.
Terapia
La terapia si articola in più fasi poiché si devono in separata sede eliminare i parassiti adulti e le forme larvali. La terapia adulticida presenta il rischio di una morte massiva dei parassiti con la conseguente mobilizzazione dalle loro sedi preferenziali e l’instaurarsi di una pericolosa tromboembolia polmonare. Tale possibilità viene minimizzata con una corretta valutazione del singolo caso e preparazione farmacologica del paziente che dovrà essere tenuto rigorosamente a riposo nei mesi successivi alla terapia.
Prevenzione
La profilassi viene effettuata nelle aree endemiche nei periodi in cui è attivo il vettore e si basa sul presupposto che l’animale possa essere infestato; di conseguenza la somministrazione mensile di un farmaco che uccide le L3 previene la comparsa della malattia, bloccando il ciclo evolutivo.I farmaci usati a tale scopo sono l’ivermectina, la mibemicina, e la mossidectina.

Parassiti esterni


Esistono moltissimi prodotti per combattere questi parassiti, ma non sono tanti quelli efficaci: infatti zecche e le pulci sviluppano negli anni, attraverso la selezione naturale, forti difese contro gli antiparassitari. Un collare antipulci di dieci anni fa oggi sarebbe completamente inutile: per questo le case produttrici di antiparassitari esterni sono continuamente in evoluzione e fanno uscire prodotti sempre nuovi.
Le pulci e le zecche all'esterno sono vitali solo dalla primavera all'autunno, con maggiore incidenza in estate. Purtroppo però in casa, con il riscaldamento, riescono a sopravvivere anche d'inverno. Naturalmente è difficile che entrino in casa, se non portate da animali. Quindi fate sempre attenzione che il vostro cagnino non le prenda e fate attenzione soprattutto agli altri animali che vi capiterà di ospitare in casa.
Nel caso di trovatelli, prima di inserirli in casa, portateli da un toelettatore che provveda a disinfestarli e poi applicategli subito l'antiparassitari altrimenti si rischiano appunto, infestazioni fastidiose da debellare, anche in inverno.
Nel caso abbiate infestazioni esiste uno spray auto-innescante che va posizionato in punti centrali della casa e uccide qualsiasi tipo di insetto e parassita.
Una bomboletta ogni 20/25 mq di superficie sono più che sufficienti.
Le pulci veicolano la tenia, verme uncinato che si installa nell'intestino e che si nutre di ciò che mangia il cane: nel caso del cucciolo questo è un problema serissimo.
Inoltre le pulci danno spesso allergia, per cui al cane allergico basta anche solo un'unica pulce per perdere il pelo e grattarsi in continuazione, provocandosi ferite ed escoriazioni.
Le zecche portano la piroplasmosi (Babesiosi), una malattia che dà come sintomo urine di color "coca-cola". Attualmente per la piroplasmosi ci sono cure abbastanza valide: esiste anche un vaccino, ma la sua efficacia è ancora piuttosto dubbia.
Le zecche portano anche la malattia di Lyme e l'Erlichiosi.

Parassiti intestinali

Giardia

 

La giardiasi è una infezione a localizzazione intestinale sostenuta da un protozoo a forma di pera chiamato Giardia spp. L'infezione si realizza per via orale con cibo o acqua di bevanda inquinati da feci di animali portatori. Le diverse specie appartenenti al genere Giardia, dopo essere state considerate per anni ospiti-specifiche (vale a dire che colpiscono esclusivamente una specie animale) vengono oggi raggruppate sotto il nome di Complesso Giardia intestinalis e sono in grado di parassitare rettili, uccelli e mammiferi, uomo compreso.
Il cane sarebbe un importante serbatoio dell'infezione e come tale si rende necessario un corretto e attento approccio a questa parassitosi incominciando dall'esame diagnostico basato sulla messa in evidenza, nel materiale fecale, dei parassiti poiché il sintomo clinico spesso è assente o comunque sovrapponibile a quello di altre patologie enteriche.
E' necessario, ai fini diagnostici prendere in considerazione, oltre al sintomo clinico, quei fattori che possono essere indicativi della presenza dell'infezione quali la provenienza, l'età, le condizioni generali del soggetto (presenza di fattori stressanti, trattamenti immunodepressivi, ecc.) e non ultimo il potenziale rischio di infezione a cui va incontro il cucciolo quando viene allevato in situazioni o in ambienti che favoriscono la diffusione del protozoo.
 
 

La malattia di Lyme


CHE COS'È LA MALATTIA DI LYME?
La malattia di Lyme (il nome deriva dall'omonima cittadina americana dove fu descritto il primo caso nel 1975) è un'infezione batterica che colpisce prevalentemente la pelle, le articolazioni, il sistema nervoso e gli organi interni. Può manifestarsi con sintomi talora gravi, persistenti e, se non curata, assume un decorso cronico.
COME SI TRASMETTE?
A causarla è un batterio della famiglia delle spirochete, di cui sono serbatoi naturali i topi del bosco. Altri animali selvatici (come lepri, volpi, ungulati e uccelli) possono occasionalmente ospitare il batterio e contribuire alla sua diffusione in ambito silvestre.
Le zecche (specialmente del genere Ixodes, il più diffuso in ambiente alpino) sono il principale vettore della malattia. Succhiando il sangue degli animali infetti, raccolgono la spirocheta e con i morsi successivi sono in grado di trasmetterla ai nuovi ospiti.
Le zecche pungono indifferentemente tutti gli esseri a sangue caldo, compreso l'uomo. Il morso non è doloroso e, proprio per questo, passa inosservato. Una volta attaccate alla pelle agiscono come una pompa succhiando e rigettando continuamente il sangue: in questo modo posso
no contaminarne una quantità enorme in poco tempo.
Alla fine si lasciano cadere sul terreno.
L'HABITAT DELLE ZECCHE
Vivono sul terreno, sull'erba. Prediligono i climi temperati e le zone a maggiore umidità.
Si trovano in prevalenza ai margini dei boschi, nelle radure, alla base dei cespugli e vicino ai corsi d'acqua.
Raramente sopra i 1.500 metri.
Le zecche pungono da primavera ad autunno inoltrato, anche se non si possono escludere i mesi invernali.
Non tutte le zecche sono infette e costituiscono pericolo di malattia.

Per altri parassiti vedi le singole sezione

Tratto da "Milleniumdogs"

 

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